
Seminario del gruppo 3
Iscrizione a 2 webinar:
Approccio dinamico ai disturbi di personalità e della condotta in adolescenza con Mario Speranza del 20.01.23
I fattori terapeutici della residenzialità nelle strutture a stampo comunitario con Claudio Bencivenga del 17.02.23
Per maggiori informazioni chiama
Ufficio Formazione Tel. 049 8073462 int.2
Mob. 331 6980230

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Approccio dinamico ai disturbi di personalità e della condotta in adolescenza con Mario Speranza del 20.01.23
I fattori terapeutici della residenzialità nelle strutture a stampo comunitario con Claudio Bencivenga del 17.02.23
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Webinar 1 - Approccio dinamico ai disturbi di personalità e della condotta in adolescenza
Il Relatore: Mario Speranza
Psichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, attualmente è primario ospedaliero presso il Service de Psychiatrie Infanto-Juvénile – Centre Hospitalier de Versailles. È anche professore universitario presso l’Université de Versailles Saint Quentin en Yvelines

Contenuti del corso
Il modello categoriale dei disturbi della personalità non è adatto in adolescenza in quanto la personalità è in via di costruzione. Un modello dimensionale centrato sullo sviluppo dell’identità e delle capacità relazionali sembra più pertinente per cogliere la dinamica di sviluppo e le problematiche psicopatologiche. La presentazione si propose di riflettere su questo modello dinamico utilizzando il manuale psicodiagnostico dinamico PDM-2
Webinar 2 - I fattori terapeutici della residenzialità nelle strutture a stampo comunitario
Il Relatore: Claudio Bencivenga
Psicologo psicoterapeuta, docente presso la Facoltà di Programmazione e Gestione Dei Servizi Sociali dell’Università degli Studi di Parma.

Contenuti del corso
Le Comunità Terapeutiche riabilitative sono strutture sanitarie per il trattamento volontario globale – psicoterapeutico, farmacologico, relazionale e sociale che – per richiesta del polo territoriale ambulatoriale dei Servizi di Salute Mentale – accolgono pazienti preferibilmente giovani e agli esordi psicopatologici, non trattabili a domicilio, né a livello ambulatoriale e che non necessitano di trattamenti in regime di ricovero ospedaliero.
Il quadro clinico dell’utenza accolta in Comunità comporta una disfunzionalità da un punto di vista relazionale, comportamentale, affettivo/emotivo, esistenziale tale da necessitare di un intervento riabilitativo e terapeutico attraverso una presa in carico residenziale e una temporanea separazione, “permeabile”, dall’abituale contesto di vita. L’intervento è adatto per quei pazienti che necessitano di uno spazio e di un tempo necessari per sperimentare nuove relazioni significative, per ricostruire, rinarrare e risignificare la propria storia e dove il fattore tempo non è un tempo statico ma un tempo dinamico che preveda il coinvolgimento attivo del paziente e della famiglia.
Il fattore residenzialità insito nell’intervento comunitario costituisce un “abitare terapeutico” in cui il fatto stesso di abitare un luogo, all’interno di una cornice accuratamente e “clinicamente pensata”, esplica una funzione riabilitativa, fondata sul concetto di “quotidianità strutturante” e dove l’elemento relazionale è il “vulnus” dell’intervento. Se la psicopatologia ha una genesi fondata sull’alterazione delle prime esperienze relazionali, ecco che allora l’Istituzione comunitaria diventa – per i legami relazionali significativi che essa promuove – un “occasione”, ove si ripropongono codici e funzioni di comunicazione familiare. La Comunità Terapeutica pertanto in virtù della propria residenzialità permette agli utenti di fare un’esperienza importantissima: quella di vivere un luogo, ovvero di rivivere quell’esperienza di domesticità attraverso il ripercorrere gesti di vita quotidiana come il mangiare insieme, lo svegliarsi, il preparare la colazione … così tutti i giorni in uno spazio capace di dare a queste azioni un senso, un significato. La ripetizione di questi eventi, insieme a tutta una serie di interventi più specialistici, si traduce nella possibilità di nuove occasioni di rimaneggiamento psichico particolarmente ampie e che echeggiano le prime fasi dello sviluppo contribuendo a correggere e ad introiettare nuovi Modelli Operativi Interni (MOI) più adattivi e funzionali.
Ciò che preoccupa è che si è assistiti nel tempo a una traduzione delle normative diversificate nelle varie regioni, che hanno finito per semplificare e banalizzare la complessità e che hanno, di fatto, assimilato le Comunità sempre più, per caratteristiche e personale, a strutture simil/ospedaliere. Spesso ci troviamo di fronte a normative “appiattite” su quelle che devono essere le caratteristiche strutturali (numero di stanze, distribuzione degli spazi) con una minore riflessione sulla componente specialistica delle professionalità che è opportuno che in esse operino. Ad una loro disamina, colpisce lo sforzo ipertrofico da parte di chi l’ha estese di voler definire, controllare, monitorare, computare, tracciare, rendere visibile ogni attività, metri quadrati, stanze, riferimenti a linee guida, certificazioni di qualità UNI EN ISO 9001, gestioni dei rischi, HACCP, cartelle informatizzate, PARM; non che ciò non sia utile, anzi, ma si rimane sconfortati quando tutto ciò è accompagnato da un’indicazione del personale che vede una sperequazione di figure parainfermierisiche (OSS ad esempio) in numero sproporzionato rispetto a funzioni professionali più attente e preparate nel leggere e decodificare le dimensioni più intime dei pazienti, venendo tale personale relegato in un ruolo residuale. La direzione sembra propendere verso un’aziendalizzazione, una cultura imprenditoriale dove poco spazio rimane alla dimensione dell’incontro. Insomma non si può parlare di Comunità terapeutica, dove il fulcro dell’intervento è la ′relazione′ in un luogo che – come direbbe l’antropologo francese Marc Auge – è una sorta di “non luogo”. In un luogo dove le azioni, gli avvenimenti, i gesti, gli eventi della vita quotidiana, vengono letti per quello che sono, senza uno sforzo di approfondimento, senza andare oltre quello che può essere soltanto il significato apparente o la mera cronaca quotidiana di tutto ciò che accade in una comunità. Se con la livella della norma, si azzera lo spessore psicologico/relazionale dell’interlocutore esistenziale dei pazienti, non si potrà più parlare di comunità terapeutiche ma per lo più di “comunità prefabbricate in serie” per intrattenere e “far sostare” le persone: eleganti, squadrate, pulite, e molto rassicuranti per coloro che hanno deciso di sposare un approccio ingenuo ai temi della salute mentale. E quel lavoro fine di artigianato di andare a toccare il fondo della persona per comprenderlo, contaminandosi con lui, con un coinvolgimento professionale?
Ecco che allora è bene chiedersi: ma si ha così paura di questi “uomini del sottosuolo” (dei pazienti) – per ricorrere alla terminologia suggestiva di un’opera di Dostoevskij – tanto da doverli rinnegare, esorcizzare, “disincarnare”, sterilizzare , con un approccio o prettamente biomedico ospedaliero , o prettamente socio educativo: è il caso questo delle case famiglia socioeducative (non meno emblematico) dove ugualmente scompaiono quelle figure che per curriculum e formazione sono deputate a fare da ponte tra sottosuolo e suolo ossia in grado di tradurre, insieme ai pazienti, quegli elementi inesprimibili, confusi, che vanno messi in parola , aiutandoli a poterli pensare mentalizzare , contenere e tollerare . Il pericolo è un ritorno ad un approccio alla salute mentale spersonalizzato, come se non esistesse nelle persone un mondo interno, che si esprime conferendo forma all’esterno, alla faccia dei tanti studi e ricerche sulla psicoterapia psicodinamica, relazionale, interpersonale. Il pericolo è quello di fornire risposte riduttive, ove la complessità è banalizzata con la conseguenza di proporre residenzialità inerti, caratterizzate da routine ripetitive e prive di senso, “depositi” poco attenti a ricostruire significati e rinarrazioni, seguendo una logica meramente allocativa, e non apparati affettivi e nutritivi dove circolino elementi dinamici, maturativi, emancipativi e dove l’intero percorso è pensato, connotato e ispirato da un’intenzionalità terapeutica.
Webinar 2 - I fattori terapeutici della residenzialità nelle strutture a stampo comunitario
Il Relatore: Claudio Bencivenga
Psicologo psicoterapeuta, docente presso la Facoltà di Programmazione e Gestione Dei Servizi Sociali dell’Università degli Studi di Parma.

Contenuti del corso
Le Comunità Terapeutiche riabilitative sono strutture sanitarie per il trattamento volontario globale – psicoterapeutico, farmacologico, relazionale e sociale che – per richiesta del polo territoriale ambulatoriale dei Servizi di Salute Mentale – accolgono pazienti preferibilmente giovani e agli esordi psicopatologici, non trattabili a domicilio, né a livello ambulatoriale e che non necessitano di trattamenti in regime di ricovero ospedaliero.
Il quadro clinico dell’utenza accolta in Comunità comporta una disfunzionalità da un punto di vista relazionale, comportamentale, affettivo/emotivo, esistenziale tale da necessitare di un intervento riabilitativo e terapeutico attraverso una presa in carico residenziale e una temporanea separazione, “permeabile”, dall’abituale contesto di vita. L’intervento è adatto per quei pazienti che necessitano di uno spazio e di un tempo necessari per sperimentare nuove relazioni significative, per ricostruire, rinarrare e risignificare la propria storia e dove il fattore tempo non è un tempo statico ma un tempo dinamico che preveda il coinvolgimento attivo del paziente e della famiglia.
Il fattore residenzialità insito nell’intervento comunitario costituisce un “abitare terapeutico” in cui il fatto stesso di abitare un luogo, all’interno di una cornice accuratamente e “clinicamente pensata”, esplica una funzione riabilitativa, fondata sul concetto di “quotidianità strutturante” e dove l’elemento relazionale è il “vulnus” dell’intervento. Se la psicopatologia ha una genesi fondata sull’alterazione delle prime esperienze relazionali, ecco che allora l’Istituzione comunitaria diventa – per i legami relazionali significativi che essa promuove – un “occasione”, ove si ripropongono codici e funzioni di comunicazione familiare. La Comunità Terapeutica pertanto in virtù della propria residenzialità permette agli utenti di fare un’esperienza importantissima: quella di vivere un luogo, ovvero di rivivere quell’esperienza di domesticità attraverso il ripercorrere gesti di vita quotidiana come il mangiare insieme, lo svegliarsi, il preparare la colazione … così tutti i giorni in uno spazio capace di dare a queste azioni un senso, un significato. La ripetizione di questi eventi, insieme a tutta una serie di interventi più specialistici, si traduce nella possibilità di nuove occasioni di rimaneggiamento psichico particolarmente ampie e che echeggiano le prime fasi dello sviluppo contribuendo a correggere e ad introiettare nuovi Modelli Operativi Interni (MOI) più adattivi e funzionali.
Ciò che preoccupa è che si è assistiti nel tempo a una traduzione delle normative diversificate nelle varie regioni, che hanno finito per semplificare e banalizzare la complessità e che hanno, di fatto, assimilato le Comunità sempre più, per caratteristiche e personale, a strutture simil/ospedaliere. Spesso ci troviamo di fronte a normative “appiattite” su quelle che devono essere le caratteristiche strutturali (numero di stanze, distribuzione degli spazi) con una minore riflessione sulla componente specialistica delle professionalità che è opportuno che in esse operino. Ad una loro disamina, colpisce lo sforzo ipertrofico da parte di chi l’ha estese di voler definire, controllare, monitorare, computare, tracciare, rendere visibile ogni attività, metri quadrati, stanze, riferimenti a linee guida, certificazioni di qualità UNI EN ISO 9001, gestioni dei rischi, HACCP, cartelle informatizzate, PARM; non che ciò non sia utile, anzi, ma si rimane sconfortati quando tutto ciò è accompagnato da un’indicazione del personale che vede una sperequazione di figure parainfermierisiche (OSS ad esempio) in numero sproporzionato rispetto a funzioni professionali più attente e preparate nel leggere e decodificare le dimensioni più intime dei pazienti, venendo tale personale relegato in un ruolo residuale. La direzione sembra propendere verso un’aziendalizzazione, una cultura imprenditoriale dove poco spazio rimane alla dimensione dell’incontro. Insomma non si può parlare di Comunità terapeutica, dove il fulcro dell’intervento è la ′relazione′ in un luogo che – come direbbe l’antropologo francese Marc Auge – è una sorta di “non luogo”. In un luogo dove le azioni, gli avvenimenti, i gesti, gli eventi della vita quotidiana, vengono letti per quello che sono, senza uno sforzo di approfondimento, senza andare oltre quello che può essere soltanto il significato apparente o la mera cronaca quotidiana di tutto ciò che accade in una comunità. Se con la livella della norma, si azzera lo spessore psicologico/relazionale dell’interlocutore esistenziale dei pazienti, non si potrà più parlare di comunità terapeutiche ma per lo più di “comunità prefabbricate in serie” per intrattenere e “far sostare” le persone: eleganti, squadrate, pulite, e molto rassicuranti per coloro che hanno deciso di sposare un approccio ingenuo ai temi della salute mentale. E quel lavoro fine di artigianato di andare a toccare il fondo della persona per comprenderlo, contaminandosi con lui, con un coinvolgimento professionale?
Ecco che allora è bene chiedersi: ma si ha così paura di questi “uomini del sottosuolo” (dei pazienti) – per ricorrere alla terminologia suggestiva di un’opera di Dostoevskij – tanto da doverli rinnegare, esorcizzare, “disincarnare”, sterilizzare , con un approccio o prettamente biomedico ospedaliero , o prettamente socio educativo: è il caso questo delle case famiglia socioeducative (non meno emblematico) dove ugualmente scompaiono quelle figure che per curriculum e formazione sono deputate a fare da ponte tra sottosuolo e suolo ossia in grado di tradurre, insieme ai pazienti, quegli elementi inesprimibili, confusi, che vanno messi in parola , aiutandoli a poterli pensare mentalizzare , contenere e tollerare . Il pericolo è un ritorno ad un approccio alla salute mentale spersonalizzato, come se non esistesse nelle persone un mondo interno, che si esprime conferendo forma all’esterno, alla faccia dei tanti studi e ricerche sulla psicoterapia psicodinamica, relazionale, interpersonale. Il pericolo è quello di fornire risposte riduttive, ove la complessità è banalizzata con la conseguenza di proporre residenzialità inerti, caratterizzate da routine ripetitive e prive di senso, “depositi” poco attenti a ricostruire significati e rinarrazioni, seguendo una logica meramente allocativa, e non apparati affettivi e nutritivi dove circolino elementi dinamici, maturativi, emancipativi e dove l’intero percorso è pensato, connotato e ispirato da un’intenzionalità terapeutica.
Come partecipare
Tempi e durata dei corsi
Durata: 2,5 ore
Orario: 10.00-12.30
Luogo: Piattaforma FAD del Provider ECM Forma-Tec Srl.
Ad iscrizione effettuata si riceverà una mail con tutte le informazioni relative all’accesso e all’utilizzo della piattaforma.
Modalità di erogazione
Ciascun seminario si svolgerà sotto forma di webinar sulla piattaforma FAD del Provider Ecm Forma- Tec Srl.
Il relatore sarà collegato in diretta ed esisterà, pertanto, la possibilità di interazione tra discente/relatore secondo le regole che lo stesso definirà a inizio webinar.
Una volta effettuata l’iscrizione, si riceverà una e-mail con tutte le indicazioni per l’accesso e l’utilizzo della piattaforma. Ciascun iscritto sarà dotato di un’area riservata all’interno della quale potrà accedere al seminario prescelto e svolgere il test Ecm finale.
Per eventuale assistenza tecnica si troveranno tutti i riferimenti all’interno della email ricevuta ad iscrizione effettuata.

Iscrizione
Le quote di iscrizione sono così suddivise:
- Iscrizione ad un seminario (2 webinar pre-associati): 130,00 Euro IVA inclusa
I dipendenti e i liberi professionisti dell’area comunità di Codess Sociale Soc. Coop. Soc. sono pregati di iscriversi scrivendo direttamente a infoeventi@codess.org
In caso di iscrizione a un solo webinar senza ottenimento dei crediti ECM la quota di partecipazione è di 50,00 Euro IVA inclusa.
Riconoscimento crediti ECM
Destinatari ECM (Educazione Continua in Medicina):
- Medici Psichiatri, Neuropsichiatri, Psichiatri infantili, Neuropsichiatri Infantili, Pediatri
- Psicologi e Psicologi Psicoterapeuti
- Tecnici della Riabilitazione Psichiatrica
- Infermieri
- Educatori professionali
- Tutte le atre professioni
Ciascun seminario, composto da due webinar pre-associati così come sopra indicato, fornisce la possibilità di ricevere 7,5 crediti ECM. Al fine di ottenerli, sarà necessario essere presenti per almeno il 90 % del tempo comprendente entrambi i webinar (quindi almeno per 4,5 ore totali) e superare il test ECM rispondendo correttamente ad almeno il 75% delle domande.
Il test ECM sarà sottoposto al termine dell’intero seminario e potrà essere svolto dal partecipante all’interno della sua area riservata entro e non oltre 72 ore dal termine del seminario stesso. Al fine di completare il test ECM sarà necessario compilare obbligatoriamente anche il questionario di valutazione finale.